"Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo" (Lc 1,44).
Come non raccogliere questo invito alla riflessione? Il trasalimento di gioia di Elisabetta sottolinea il dono che può essere racchiuso in un semplice saluto, quando esso parte da un cuore colmo di Dio.
Quante volte il buio della solitudine, che opprime un'anima, può essere squarciato dal raggio luminoso di un sorriso e di una parola gentile! Una buona parola è presto detta; eppure a volte ci torna difficile pronunciarla. Ce ne trattiene la stanchezza, ce ne distolgono le preoccupazioni, ci frena un sentimento di freddezza o di egoistica indifferenza. Succede così che passiamo accanto a persone che pur conosciamo, senza guardarle in volto e senza accorgerci di quanto spesso esse stiano soffrendo di quella sottile, logorante pena, che viene dal sentirsi ignorate. Basterebbe una parola cordiale, un gesto affettuoso e subito qualcosa si risveglierebbe in loro: un cenno di attenzione e di cortesia può essere una ventata di aria fresca nel chiuso di un'esistenza, oppressa dalla tristezza e dallo scoramento. Il saluto di Maria riempì di gioia il cuore dell'anziana cugina Elisabetta.
Giovanni Paolo II (Omelia, 11 febbraio 1981)
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