sabato 17 aprile 2010

Discorso per la celebrazione della Parola davanti alla Sindone


Nella Sindone si riflette l'immagine della sofferenza umana. Essa ricorda all'uomo moderno, spesso distratto dal benessere e dalle conquiste tecnologiche, il dramma di tanti fratelli, e lo invita ad interrogarsi sul mistero del dolore per approfondire le cause. L'impronta del corpo martoriato del Crocifisso, testimoniando la tremenda capacità dell'uomo di procurare dolore e morte ai suoi simili, si pone come l'icona della sofferenza dell'innocente di tutti i tempi: delle innumerevoli tragedie che hanno segnato la storia passata, e dei drammi che continuano a consumarsi nel mondo.
Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le nazioni, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di essere umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli, specialmente nei paesi in via di sviluppo? Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali?
Evocando tali drammatiche situazioni, la Sindone non solo ci spinge ad uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore che, santificato dal mistero di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità.
La Sindone è anche immagine dell'amore di Dio, oltre che del peccato dell'uomo. Essa invita a riscoprire la causa ultima della morte redentrice di Gesù. Nell'incommensurabile sofferenza da essa documentata, l'amore di colui che ha " tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" ( G v 3,16 ) si rende quasi palpabile e manifesta le sue sorprendenti dimensioni. Dinanzi ad essa i credenti non possono non esclamare in tutta verità: "Signore, non mi potevi amare ancora di più! ", e rendersi subito conto che responsabile di quella sofferenza è il peccato: sono i peccati di ogni essere umano.
Parlandoci di amore e di peccato, la Sindone invita tutti noi ad imprimere nel nostro spirito il volto dell'amore di Dio, per escluderne la tremenda realtà del peccato. La contemplazione di quel corpo martoriato aiuta l'uomo contemporaneo a liberarsi dalla superficialità e dall'egoismo con cui molto spesso tratta dell'amore e del peccato. Facendo eco alla Parola di Dio ed a secoli di consapevolezza cristiana, la Sindone sussurra: credi nell'amore di Dio, il più grande tesoro donato all'umanità, e fuggi il peccato, la più grande disgrazia della storia.
La Sindone è anche immagine di impotenza: impotenza della morte, in cui si rivela la conseguenza estrema del mistero dell'incarnazione. Il telo sindonico ci spinge a misurarci con l'aspetto più conturbante del mistero dell'incarnazione, che è anche quello in cui si mostra con quanta verità Dio si sia fatto veramente uomo, assumendo la nostra condizione in tutto, fuorchè nel peccato. Ognuno è scosso dal pensiero che nemmeno il Figlio di Dio abbia resistito alla forza della morte, ma tutti ci commuoviamo al pensiero che egli ha talmente partecipato alla nostra condizione umana da volersi sottoporreall'impotenza totaltdel momento in cui la vita si spegne. E' l'esperienza del Sabato Santo, passaggio importante del cammino di Gesù verso la Gloria, da cui si sprigiona un raggio di luce che investe il dolore e la morte di ogni uomo.
La fede, ricordandoci la vittoria di Cristo, ci comunica che il sepolcro non è il traguardo ultimo dell'esistenza. Dio ci chiama alla risurrezione ed alla vita immortale.

Giovanni Paolo II, Torino, 24 maggio 1998